martedì 23 novembre 2010

Una bicicletta e due fedi di latta

Quando mi veniva raccontata la storia della bicicletta ero ancora una bambina, eppure già subivo il suo fortissimo fascino. Di solito avveniva davanti a un tavolino basso, quattro carte per terra e tre in mano. Tre per me e tre per lei, si intende. Mentre compivo le difficili operazioni per capire se riuscivo a fare scopa, mia nonna mi accompagnava raccontandomi le storie che aveva vissuto. La sua giovinezza, il suo matrimonio, il suo lavoro, la nascita di mio padre. Come tutte le persone anziane tendeva a raccontare storie già raccontate, ma non me ne importava: avrei continuato a sentire quella storia per altre mille volte, sempre affascinata e con la faccia un po' sognante. Proprio perchè credevo di conoscerla bene, quella storia, sono rimasta un po' amareggiata e un po' sorpresa per aver scoperto, solo pochi giorni fa, un nuovo particolare.


Quella unione non cominciò propriamente sotto una buona stella, come si suol dire. Tanto per cominciare, lui era dieci anni più grande di lei, con tutto quello che ciò comportava negli anni '40 del secolo scorso. Poi arrivò la guerra, la seconda guerra mondiale, e il matrimonio che non s'aveva da fare venne autorizzato dai genitori di lei, convinti che sarebbero sopravvissuti troppo poco per negare quella breve gioia alla loro figlia. E così, il 26 settembre 1943, i miei nonni si sposarono. A bordo di una vecchia bicicletta, per cercare di sfuggire ai bombardamenti che in quel periodo si susseguivano a raffica su Terracina, la nonna seduta sulla canna mentre il nonno guidava, raggiunsero Borgo Hermada. Come si svolse la funzione nessuno me lo ha mai raccontato: riesco solo ad immaginare un prete di campagna, un tavolaccio usato a mo' di altare, due testimoni sconosciuti raccattati nei paraggi. Quello che davvero non avrei mai potuto immaginare erano le loro fedi. Di latta, mi ha detto pochi giorni fa mio padre. Questo dettaglio, questo piccolo particolare, mi ha fatto commuovere più di qualsiasi altra cosa. Gli stenti, le difficoltà di ogni genere non hanno in nessun modo intaccato il loro desiderio di sposarsi. Alla fine della guerra, quando non fu più un problema possedere dell'oro e quando furono sicuri che nessuno gliel'avrebbe più confiscato per il bene della patria, le due fedi di latta vennero sostituite con due fedi d'oro giallo canoniche, con tanto d'incisione. Una di quelle fedi ora appartiene a mio padre e forse un giorno apparterrà a me. Eppure ho nostalgia per quelle vecchie fedi di latta, vorrei non le avessero mai sostituite. Sarebbero servite da monito, oltre che da reliquia. Sarebbero state le loro fedi e basta, originali e personalissime. Mi avrebbero aiutato a ricordare per sempre che discendo da una bicicletta e da due fedi di latta.



Valeria

domenica 14 novembre 2010

Vedi Napoli e poi...

Vedi Napoli e poi muori. Questo avrebbe detto nientepopodimeno che Wolfgang Goethe dopo aver visitato la città durante il lungo peregrinare che lo portò a creare, nel 1817, il suo saggio "Viaggio in Italia".

Ebbene, Napoli l'ho vista ieri, per la seconda volta nella mia vita (cosa scandalosa data la vicinanza geografica e i treni ogni ora). L'ho vista parzialmente sia perchè una densa foschia e un cielo plumbeo che non ti aspetti impedivano al mio occhio di acchiappare tutte le forme e tutti i colori (coprendomi, peraltro, la punta del Vesuvio e le isole poco lontane), sia perchè, col poco tempo a disposizione e le mille cose da fare, non ho potuto girovagare liberamente fino a scoprire ogni angolo della città, come faccio in genere quando un posto mi colpisce particolarmente. Perchè, sì, Napoli mi ha colpita. Intanto, guardandola dall'alto, dalla terrazza della Certosa di San Martino, ho notato, non con poca meraviglia, di come non si riuscissero a distinguere le strade: vedevo, sotto di noi, solo case gialle e rossastre che si inseguivano fino ad arrampicarsi sulla collina, ma niente strade! Ho subito reso partecipi di questa osservazione i miei magnifici compagni di viaggio, i miei ciceroni: la famiglia dei "Calisi del borgo" al gran completo. Il Calisi senior mi ha detto che sì, effettivamente le strade a Napoli sono grandi quanto lo spazio minimo necessario per far passare due auto (molto più spesso sono proprio vicoli a senso unico) e che non esistono strade ad alto scorrimento. "Qui una Cristoforo Colombo sarebbe impensabile" [ricorrenti, in questa prima fase della gita e soprattutto da parte del Calisi-di-mezzo, parallelismi con la capitale, che, a confronto con Napoli, diventa improvvisamente per quest'ultimo la città più bella e funzionale al mondo]. In compenso si distinguono nitidamente la basilica di Santa Chiara, col suo grande chiostro sul retro, la piazza Gesù nuovo con al centro la guglia dell'Immacolata e,soprattutto, via Benedetto Croce, meglio conosciuta col soprannome di "Via Spaccanapoli" poiché si dice che questa tagli esattamente in due la città.
Dopo aver scattato qualche foto di rito, riscendiamo verso piazza Vanvitelli, il centro del Vomero, quartiere collinare della città, e ci immergiamo in un grande viale affollato di gente e negozi [sarà stato per l'isola pedonale, per i papà coi passeggini e, perchè no?, anche per il clima, ma questa Napoli mi ha ricordato la mia bella Bilbao e la sua Gran Via durante il periodo natalizio, di certo più ordinata ma ugualmente pullulata di gente... ah! nostalgia!].

Dopo un lauto pasto a casa di nonno Luigi e nonna Rosa in compagnia di gran parte della famiglia riunita per festeggiare il neo-laureato [parte su cui non mi soffermo, altrimenti dovrei scrivere 20 pagine di post], riprendiamo il nostro tour, stavolta comodamente seduti in macchina e scarrozzati da zia Teresa che ci porta alla scoperta di Posillipo, altro quartiere "in" della città, reso celebre (almeno per parte dell'universo femminile italiano) dalla soap opera "Un posto al sole". Anche in questo caso, e con una pazienza degna di Giobbe, la macchina si ferma di tanto in tanto, ci fa scendere tutti e permette alla me turista di scattare foto in quantità, mentre gli altri mi spiegano dove e cosa guardare: ho visto il San Paolo (!), ho visto Ischia e Capri e pure il promontorio di Pozzuoli, ho visto Castel dell'Ovo e il Maschio Angioino. Prima di scendere verso il lungomare, ci fermiamo anche lì dove un tempo c'era il pino marittimo, indiscusso, anche se non unico, protagonista di ogni cartolina di Napoli. Ei fu, povero pino. Pare che qualche anno fa si sia ammalato e l'abbiano dovuto rimuovere. Al suo posto adesso ne hanno piantato un altro, ma è piccolino e un po' spelacchiato, niente a che vedere col suo predecessore. Inoltre, pare anche che l'inquilino della casa che affaccia sul pezzo di terra dove cresce il pino abbia vietato ai pullman di turisti di fermarsi per fare foto... mah!


Finalmente scendiamo verso il mare, ci rechiamo all'appuntamento con Calisi senior a piazza del Gesù nuovo, liberando la zia Teresa che tanto ci ha fatto vedere. Arriviamo a vedere da vicino ciò che poche ore prima avevamo scorso dall'alto. Ci incamminiamo per via Spaccanapoli, piena di botteghe e bancarelle già tutte addobbate per (l'imminente?) Natale e arriviamo alla fine a Via San Gregorio Armeno, famosissima in tutto il mondo per essere il ricettacolo di botteghe di artigiani maestri nell'arte del presepe. E qui ne ho davvero viste di tutti i colori: statuine di ogni tipo, dalle classiche in terracotta alle moderne meccanizzate, dalle dissacranti ed attuali [hanno fatto in tempo a creare anche Ruby che esce da un calderone con addosso solo un costumino succinto] alle icone di tutti i tempi [un capitolo a parte meriterebbero gli idoli calcistici. A Maradona è stato dedicato, fuori da un bar, un'edicola, di quelle che in genere ospitano madonne col bambino, per intenderci. Sotto quest'altarino si legge una scritta che recita più o meno così: "L'hai fatta la foto? Mò vieni dentro e pijate o' café se no ti cade la macchinetta e ti si spacca l'obiettivo". Mi rendo conto di non aver reso giustizia ai geniali padroni del bar con questa citazione ibrida napoletano-italiano, ma ancora non mastico troppo bene la lingua partenopea]. Per non parlare degli accessori: bacnhi di pesce, salumi e formaggi, sacchi di spezie, galline in gabbia, eccetera, eccetera, eccetera. Qualcosa di meraviglioso.

Proseguiamo per questi vicoli fino ad arrivare in piazza Dante dove riprendiamo la metro per tornare verso casa. Il giro turistico è proprio finito e a me sembra di aver visto solo la milionesima parte di quello che avrei dovuto vedere. Perciò mi viene da dire - non me ne voglia Goethe - "vedi Napoli e poi... tornaci!". Di morire non ne ho voglia. Almeno per adesso.
Valeria
Ringraziamenti:
Credo che nessuno della big family avrà mai modo di leggere questo post, ma spero comunque che Luigi inoltrerà a tutti loro i miei più sentiti ringraziamenti per questa splendida giornata. Nonno Luigi e nonna Rosa sono stati adorabili, degli ottimi padroni di casa, e come sempre molto affettuosi con me [nonno Luigi ci ha espressamente detto che dovrà allargare il tavolinetto delle foto per fare spazio a quella del matrimonio!!!]; zia Teresa, impagabile guida-guidatrice nonché sceglitrice dei bellissimi orecchini che ho ricevuto in regalo; zio Franco, cuoco della famiglia, che ha preparato squisiti manicaretti, ma che merita un 10 e lode solo per la sua meravigliosa caprese; zio Ernesto che sembrava così interessato alla mia tesi e mi faceva domande a raffica e che si sentiva vecchio perchè gli davo del lei; e ovviamente ringrazio i "Calisi del Borgo" che grazie al loro giro ben studiato sono riusciti a darmi una visione d'insieme della città e a farmela apprezzare in ogni sua sfumatura e stravaganza.
P.S. Non ci crederete, ma anche a Napoli chi va in motorino usa il casco! E nessuno passa col rosso ai semafori! Però un po' di munnezza l'ho vista, purtroppo...
 
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