mercoledì 27 aprile 2011

Parigi

"Quanti semo?"

Lione

Francia

Petit dejuner

Baguettes au jambon

Croissants


PARIGI


Palais des congres

Emanuelle la guida

Arc du Triomphe, Place de l'Etoile

Trocadero et Tour Eiffell

(coda per salire sulla Tour Eiffell lunghissima)

foto




L'Ecole militaire

Les invalides

Le grand e le petit palais

Les Champs Elysée

L'opera

l'eliseo di Sarkozy e Carlà

La Madelaine del megalomane Napoleone

Rue de Rivoli e il Louvre

Le Jardin des Tuileries

L'Ile de la cité con Notre Dame

Pont Neuf, Pont des Arts, Pont Alexandre III

Quai Saint Germain et Quai Saint Michel

Musée D'Orsay

Palais Bourbon e l'Assemblée nationale

La Défense 5 e il nostro hotel

Le Sacre coeur




Montmartre, Pigalle

Le Moulin Rouge

Souvenirs

Kebab

Promenade

Galleries Lafayettes

Riposo al Jardin des Tuileries

Promenade sur la Seine

Pioggia improvvisa

Metropolitain

Cena al Montecarlo

coda per la Tour Eiffell sempre troppo lunga

Metropolitaine

Messa di Pasqua a Notre Dame

(prima lettura in Italiano)




Dejuner in un Bistro del quartiere latino

La Sorbonne

Le Jardin du Luxembourg

Panthéon

Metro

Centre Pompidou




Cena a Pigalle

Ultimo tour della Ville lumiere

Ultime foto

Ultimo giorno a Saint Romain le puy

(paese gemellato con Monte San Biagio)


18 ore di pullman

"A Natale mi sposo"

2 ore di chiacchiere con mamma











martedì 12 aprile 2011

La cena

L'allestimento del teatro nuovo di Verona in occasione della semifinale del Campiello giovani prevedeva, ai piedi del palco, una montagna di libri. Era un bellissimo colpo d'occhio e dentro di me ho pensato "ma guarda un po' che bella idea che hanno avuto questi scenografi!". Non osavo avvicinarmi a curiosare tra i volumi esposti, poiché pensavo fossero solo un elemento decorativo (magari anche solo scatolette di polistirolo con una copertina appiccicata sopra) e perché temevo di poter essere rimproverata da qualcuno. Solo verso metà spettacolo il conduttore ci svela che quei libri in realtà sono per noi e che avremmo potuto prenderli e portarceli a casa. Inutile dire che a fine manifestazione c'è stata una ressa allucinante (credo di non aver mai visto prima di allora qualcuno che si spintonasse per accaparrarsi qualche libro!) e che io, nonostante partissi dalla mia posizione privilegiata in seconda fila, stavo rischiando di tornarmene a casa senza niente. Alla fine però sono riuscita ad arrivare sotto il palco e a prendere qualche volume: le antologie del Campiello giovani dei due anni precenti, una favola per bambini e, incuriosita da un pieghevole che ne ricopriva la copertina, un noir. La frase sul pieghevole recitava più o meno così: "Troppo amore non fa bene ai figli... Un thriller senza respiro, dove nessuno è innocente" ed era firmata da Niccolò Ammaniti, scrittore italiano che seguo da sempre e di cui ho letto parecchio. Ho appena finito di leggerlo e vorrei raccontarvelo.


"La cena" (ed. Neri Pozza, 2010) è un romanzo scritto da Herman Koch, autore televisivo, giornalista e scrittore olandese, molto conosciuto in patria, un po' meno da noi (tanto per farvi capire: volevo mettervi il link di wikipedia per la sua biografia, ma c'è solo in olandese o in tedesco). Ma chissà, forse questo suo ultimo lavoro gli darà più rilievo a livello internazionale: il romanzo in questione, infatti, pare sia stato un vero e proprio caso letterario, con centinaia di migliaia di copie vendute in tutto il mondo e traduzione in undici lingue. Avendo saputo tutte queste cose, io che sono notoriamente una lettrice di best-seller, mi sono subito appassionata e ho cominciato a leggere di gran lena.

Come si evince dal titolo, il romanzo ha luogo durante una cena in un ristorante di lusso dove due coppie (due fratelli con le loro rispettive mogli) si ritrovano per discutere di un qualcosa di terribile che riguarda i propri figli. Ognuno di loro è a conoscenza degli eventi, ma tutti fanno finta di niente: almeno per la prima metà della cena parlano di cose futili ("Avete visto l'ultimo film di Woody Allen?"), lasciando il lettore in trepidante attesa per buone cento pagine prima di riuscire a capire qual è il problema che affligge le due coppie. Sarà solo verso metà volume, infatti, che, seguendo le digressioni del protagonista-narratore, il lettore riuscirà a ricostruire pian piano il puzzle con i pezzi mancanti.

Se è un libro che descrive lo spaccato di due coppie borghesi per la maggior parte della sua lunghezza, diventa estremamente duro e cruento in alcuni punti (potrebbe tranquillamente diventare la sceneggiatura di uno di quei film che non andrei mai a vedere). Ma la cosa che colpisce di più il lettore, come aveva giustamente sottolineato Ammaniti nelle sue due righe di commento, è il rapporto morboso che si instaura tra i genitori e i propri figli, la totale abnegazione dei primi verso i secondi e la difficoltà di giudicare in modo giusto e imparziale le azioni più miserevoli, se commesse dai propri figli. Infatti, mentre uno dei due padri si rende conto con più lucidità dell'accaduto e, per amore di giustizia, sarebbe disposto a denunciare il figlio, assicurandogli parecchi anni di galera, l'altro, il protagonista, è fermo nella sua volontà di insabbiare tutto e di fare in modo di cancellare dalla memoria del figlio quello "spiacevole incidente", quella "bravata" per tornare semplicemente ad essere la famiglia felice che erano. A chi dare ragione? Con chi schierarsi? Forse ha davvero ragione chi dice che fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo.

domenica 3 aprile 2011

Reportage: Verona




Col frecciargento si percorre mezza Italia in 3 ore che, se si ha un buon libro da leggere, passano in un baleno. All'arrivo ci si trova sempre un po' spaesati, per quanto uno possa aver studiato minuziosamente la cartina della città sconosciuta meta del suo viaggio. Morale della favola: bisogna chiedere indicazioni a qualcuno. Chi meglio del barista della stazione?

"Scusi, dov'è porta nuova?"

Risponde: "E' là... la vedi la bandiera? Frate-e-lli... d'Ita-a-liaaaaa..." Chissà come mai, abbiamo la sensazione che il suo sia un modo per prendere in giro due terroni in gita... Ci guardiamo e ridacchiamo, pensando "cominciamo bene!".


Continuiamo a camminare verso il centro, e in pochi minuti arriviamo al nostro B&B. Scelto tra una miriade di possibilità per via della sua posizione strategica (vicinissima al centro e a poche centinaia di metri dalla stazione) e per via dei prezzi concorrenziali, ci accorgiamo ben presto di essere ospiti di una squisita signora, nel suo appartamento. Sì, a Verona funziona così (forse succede anche in altri posti, ma fino ad ora non mi era mai capitata una cosa del genere): la gente compra degli appartamenti grandi, si riserva una camera per sè, e il resto delle stanze vengono lasciate agli ospiti del B&B. A voi è mai capitato? Insomma, tornando a noi, la signora ci ha fatto vedere la nostra camera (la suite Romeo e Giulietta - come sbagliarsi? - con un grande bagno, tv satellitare, condizionatore e computer portatile per connettersi ad internet!), ci ha lasciato un mazzo di chiavi, ci ha dato una cartina della città mostrandoci i posti da vedere, ci ha fatto sentire a casa. Ma la cosa che più ci ha colpito è successa il giorno dopo, a colazione. Infatti, attorno al grande tavolo del soggiorno si radunano tutti gli ospiti del B&B e si può mangiare mentre si chiacchiera con persone appena conosciute: ci si racconta perchè si è a Verona, quando si riparte, se ci è piaciuta la città. Noi in due giorni abbiamo incontrato un professore universitario di Bologna, due ragazzi venuti da Padova per il concerto dei Subsonica, altri due - una francese e un tedesco - semplicemente in vacanza. Persino io, che sono notoriamente un po' orsa con chi non conosco, sono stata entusiasta di questa cosa.

Passando alle impressioni sulla città, devo dire di essere rimasta piacevolmente colpita. Tipica città del nord, organizzata e pulita, dove tutti vanno in bicicletta (è facile incontrare intere famiglie in fila indiana sulle piste ciclabili) e dove una buona fetta della popolazione cena con uno Spritz. La città, però, offre molto più di questa serie di banali stereotipi. Innanzi tutto, ci si lascia spesso convincere da chi dice che il centro di Verona si può visitare in poche ore: potrebbe essere effettivamente così, se uno si limitasse solo ai quattro monumenti segnati sulle cartine per turisti.

In realtà ci si rende ben presto conto che "un giro in centro" non basta quando, ripassando per un vicolo, ci si accorge che si stava rischiando di perdere una chiesa, un palazzo o uno scorcio particolari. Noi siamo stati solo due giorni e siamo riusciti a vedere un bel po' di "bellezze" (anche nascoste) della città, ma credo che con qualche altro giorno a disposizione avremmo potuto fare di meglio. Soprattutto perchè, un po' per il caldo inaspettato (intorno ai 25° C) e un po' perchè non c'abbiamo più il fisico, dopo un'ora di cammino dovevamo fermarci per mezz'ora all'ombra in qualche parco...

Ad ogni modo siamo riusciti a vedere:

L'Arena di Verona, fuori, dentro e tutt'intorno. Prendo in prestito la frase di una turista spagnola che lo descriveva ai suo compagni come un "piccolo colosseo" (cosa che in effetti è). Teatro romano, costruito nel primo secolo d.C. Per chi ha visto il colosseo direi che può tranquillamente evitare di spendere quell'enormità del costo del biglietto, considerando che dentro si faranno solo un paio di foto mentre in platea degli operai montano il palco per il prossimo spettacolo;


il balcone di Giulietta, che si affaccia in un cortile sempre gremito di persone in fila per fare la foto mentre si tocca il seno di una statua della povera ragazza (che porti fortuna? bah...). Architettonicamente parlando abbastanza impersonale, il luogo ha certamente un valore simbolico, ed è giusto che sia così. Magari, però, eviterei di permettere alle coppiette innamorate di incidere i loro nomi nella pietra lì intorno...


Corso Mazzini e Pazza delle Erbe, il centro commerciale della città, il primo con le boutique e i negozi più prestigiosi, la seconda con le bancarelle dei souvenir e dei prodotti tipici della cucina veneta. Nella piazza si incontrano una fontana e un obelisco sulla cui sommità sta appollaiato un leone, simbolo di San Marco e simbolo della vicina città di Venezia;


la basilica di San Zeno, patrono della città di Verona, è una delle cattedrali più bizzarre che io abbia mai visto. Innanzi tutto si sviluppa in lunghezza ed è costruita su tre livelli: al livello strada si trova l'ingresso, immenso, ma spoglio, con solo delle cappelle laterali; verso la metà della lunghezza della chiesa si trovano delle scalinate: una, che scende, porta verso la cripta dove è custodito il corpo di San Zeno, mentre l'altra, che va verso l'alto, porta alla chiesa vera e propria con altare, abside, panche per i fedeli. Purtroppo non abbiamo potuto vedere quest'ultima parte perchè off limits causa matrimonio, ma pare che proprio vicino all'altare sia custodita una tavola del Mantegna. Sicuramente da visitare;


il Castelvecchio e il ponte scaligero: costruiti nel XIV secolo su ordine di Cangrande II della Scala, il primo per difenderlo, e il secondo per scappare, in caso di sommosse popolari. Sono entrambi perfettamente conservati e il castello ospita un importante museo civico;


Siamo anche riusciti nell'impresa titanica di salire 200 gradini per arrivare in una zona panoramica della città e scattare qualche foto dall'alto. Il colpo d'occhio è davvero fantastico e soprattutto da lì ci si rende conto di quante chiese siano disseminate per la città. E' davvero impressionante la densità di campanili in pochi chilometri quadrati. Sono arrivata al punto di chiedermi se fosse Verona, e non Praga, a dover essere chiamata "la città delle cento torri".


Bene, credo di avere scritto fin troppo. Ora sta a voi dire la vostra! Aspetto i vostri commenti...


Per quanto riguarda le motivazioni del viaggio, vi rimando al blog di Luigi, che vi spiegherà tutto. ;)

 
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